ScienzaNuova 2023 – V secolo a.C.: agli albori del pensiero scientifico, quando in letteratura irrompono nuovi saperi, la lingua muta per far fronte alla comprensione delle competenze appena nate e generare un linguaggio tecnico. Elena Langella ci porta alla scoperta di questa straordinaria genesi che ha in definitiva originato noi, uomini del nostro mondo.
In questo seminario, i professori Gino Zaccaria ed Ivo De Gennaro propongono di mettere insieme lingua e utopia e mostrano come l’una possa essere riferita all’altra. In particolare, partono dal conio originale della parola “utopia” come “non-luogo” e fanno vedere come, in quanto non-luogo, questa possa indicare ciò che dà luogo, cioè che rende attendibile il senso di luogo, e quindi permette ad ogni ente di stare, situarsi. Analogamente, anche la lingua può essere intesa in un senso pregnante, ovvero quello di lingua madre, che comprende (ma non si riduce a) quello di “linguaggio” o “mezzo di comunicazione”. Con questa analisi, si vede che la lingua non è mera convenzione, bensì l’elemento che fa apparire le cose, che le rende manifeste per ciò che sono. A questo punto, la connessione fra utopia e lingua diviene chiara a patto di mostrare il rapporto che intercorre fra l’utopia così intesa e il manifestarsi di un fenomeno.
Aspetto peculiare e interessante del seminario è l’accuratezza e il tempo dedicati al chiarimento del manifestarsi, ovvero dell’apparire, punto fondamentale della fenomenologia.
Il professor Langella ci accompagna in un viaggio alla scoperta delle città “viste” da Elio Vittorini, in “Le città del mondo” (1969), e da Italo Calvino, in “Le città invisibili” (1972). In che senso queste città, spesso terribili, devastate, stranianti, sono descritte anche sulla base di istanze utopiche? Attraverso l’analisi dell’origine, della struttura e dell’evoluzione di queste città, il professore ci aiuta a capire la dimensione del Sogno che le permea.
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” (I. Calvino, Le città invisibili)
In greco antico la parola “utopia” non esiste. Ma è possibile rintracciare delle esperienze utopiche nella cultura e letteratura greca? La risposta è sì ed Elena Langella ci illustra qui una serie di esempi che fanno apparire sensi del concetto di utopia che la definizione da dizionario lascia nascosti. Se guardiamo all’Odissea, per come comprendiamo l’utopia potremmo facilmente ritrovarla nella società dei Feaci. Ma è questo l’ideale a cui tende Odisseo?
Che nesso c’è fra lingua e natura, intendendo quest’ultima come naturalezza e necessità? Dante parla del volgare come di quella lingua che “si apprende senza bisogno di nessuna regola”. E molto prima di lui Marco Varrone diceva “Chiamo natura il caso nel quale tutti noi non chiediamo come declinare un nome dato […] ma lo decliniamo da soli”. In che senso le regole della lingua sono naturali? Come e fino a che punto vengono interiorizzate? Il professor Andrea Moro, celebre linguista ordinario alla Scuola Universitaria Superiore (IUSS) di Pavia, parte da queste domande sulla lingua come necessità per arrivare a esplorare la lingua come utopia: ha senso il progetto o la ricerca di una lingua perfetta, razionale, primaria? Questo conduce a pensare la lingua come possibilità. Qualunque sistema di regole può portare ad una lingua oppure no? E le regole linguistiche possono essere ottimizzate per ottenere una lingua ideale?
Come ricercare la bellezza nella lingua?
La professoressa Elena Langella ci mostra come si struttura questa ricerca attraverso l’uso dei criteri estetici–linguistici di completezza, sistematicità ed economia e illustrando un caso studio per raggiungere una ricotruzione linguistica che sia propriamente “bella” ed “elegante”.
Ispirati da Kairos, il dio del momento propizio, pubblichiamo il seminario tenuto da Elena Langella il 25 luglio 2017 a Merano, nell’ambito della prima edizione di Scienza Nuova. Si indaga come sia emersa l’idea di tempo nelle lingue arcaiche, si discute di come dalla genesi delle civiltà l’importanza dell’aspetto temporale sia cambiata. La lingua getta una luce su come chi parla vede il mondo.
Video-conferenza (con dibattito) di Daniele Olschki tenuta all’Università Bocconi il 22 aprile 2021 sulla storia della Casa Editrice Olschki.
Elena Langella ci porta nuovamente a viaggiare nel tempo, sia nel senso cronologico sia alla scoperta del suo senso. Ripartendo dalla lezione tenuta per ScienzaNuova nel 2017, in cui indagava il concetto di tempo nella lingua greca antica, qui si concetra sul senso di tempo in Esiodo, uno dei più antichi autori della letteratura greca antica.
Qual era il ruolo del poeta nella Grecia classica? Elena Langella mette in luce a partire da vari testi significativi come la figura del poeta nell’atto creativo quanto nell’atto declamatorio si fondasse anche su un sapere tecnico, “artigianale”.